Per Lajatico 3E’ arrivato finalmente un timido raggio di sole, dopo tanta pioggia, e ne approfitto per fare un giro con la mia Vespa. Decido di salire a 182 metri sul livello del mare,  sul colle più suggestivo della piana dell’Era, quello di Montefoscoli, ultimo dolcissimo sperone prima di intravedere il mar Tirreno.  La strada per salire è affascinante, sia per i tornanti panoramici, sia per gli imponenti verdi cipressi che la costeggiano, quasi a disegnarne il percorso. La scenografia che mi scorre tutto intorno è meravigliosa. Sembra proprio di entrare tra le sfumature di un dipinto. Ed ecco spuntare tra il verde degli alberi una pennellata di case buttate capricciosamente sul cucuzzolo della collina più alta: il borgo di Montefoscoli.

Montefoscoli

Montefoscoli

Faccio il giro delle mura, lascio la Vespa nell’ampio parcheggio proprio sotto le stesse mura e percorro a piedi la rughetta ripida che porta nel centro del paese. Come mi piace questo posto. Le case in pietra sono in perfetto stile medievale e camminare per queste stradine strette riporta immancabilmente  a secoli e secoli fa. La storia di questo luogo comincia ufficialmente poco dopo l’anno Mille, quando divenne castello di basilare importanza per truppe e condottieri spediti in Etruria a collezionare possedimenti. I primi reperti che parlano del borgo sono datati 1179 dopo Cristo, quando Papa Alessandro III stabilisce i confini tra le diocesi di Lucca e di Volterra al monastero San Cassiano a Carigi, oggi La Badia, podere al bivio provinciale con la strada che sale sul colle. Ma sono stati fatti ritrovamenti che riportano addirittura all’epoca degli etruschi.
In ogni caso è con il Medioevo che Montefoscoli conosce la sua massima importanza strategica, quando la contessa Matilde di Canossa fa dono al fido scudiero Foscolo Scarpetta (da cui discese la casata nobile pisana dei Griffi) di diversi luoghi vicino a Peccioli, tra cui, appunto, il castello di Montefoscoli. Ancora oggi la via che attraversa l’ex cassero è dedicata a Foscolo Scarpetta.

Passeggiando per la via centrale, Via A. Vaccà, scorgo l’entrata del Museo della Civilità Contadina. La porta d’accesso è di legno “vecchio”, in stile tipicamente rurale ed è piccola come lo è anche l’edificio, almeno apparentemente. Curiosa di sapere cosa può contenere di tanto speciale da farne un museo entro dentro. Subito mi avvolge l’odore penetrante tipico dei granai e dei depositi degli attrezzi dei contadini. Non a caso la mia mente fa un tuffo nei ricordi di bambina, quando andavo a giocare nella fattoria dei miei zii materni, tra le galline, i conigli e il fieno.
Mi viene incontro Riccardo, uno dei ragazzi del posto che gestiscono il museo, e mi accompagna in un viaggio meraviglioso, inimmaginabile da fuori, attraverso cunicoli e passaggi segreti alternati ad ampi spazi, tutti perlopiù sotto terra, scavati nel tufo. Nella chiostra d’ingresso sono esposti ordinatamente aratri, erpici e tanti altri antichi attrezzi per lavorare la terra, poi c’è l’antico tinaio in cui è stato riunito l’occorrente per la produzione del vino. A seguire c’è il coppaio per la conservazione dell’olio e il granaio con i depositi per il grano ancora perfettamente conservati.

Il granaio

Il granaio

Proseguendo il percorso si esce di nuovo all’aperto, sotto un loggiato dove si possono osservare attrezzi minuti e antichi aratri. Lo stile del loggiato e della terrazza adiacente (dalla vista stupenda sulla valle) è tipico di un convento e, in effetti, Riccardo mi spiega che inizialmente, intorno all’anno Mille, l’odierna casa padronale in cui ha sede il Museo era proprio un convento di suore. Il loggiatoE’ soltanto nei primi anni del XVI secolo che venne acquistata dal nobile casato Vaccà Berlinghieri, famiglia affezionata alle gesta dell’imperatore Napoleone, che la trasformò in una fattoria completa addirittura di frantoio, ancora intatto, con le macine di pietra e ogni attrezzo utile alla lavorazione delle olive e alla frangitura. Su prenotazione è possibile fare anche la degustazione di prodotti tipici del posto, proprio nella stanza del frantoio, rievocando l’antica e semplice abitudine di condividere tutti insieme i frutti del proprio lavoro.

Il frantoio

Il frantoio

All’interno della fattoria c’è anche la lavanderia, dove è stato ricostruito il vecchio sistema di fare il bucato “con la cenere”, di stirare la biancheria, di scaldare i letti e di tenere al sicuro i neonati. Nello stesso ambiente si faceva il bagno essendo il solo riscaldato della casa. E poi altri stretti cunicoli, scavati nel tufo, dai quali prima era possibile arrivare fino al Castello e per questo ottima via di fuga in caso di assalti. Che poi, stranissimo: percorrendoli sembra di scendere in basso, mentre il Castello si trovava più in alto.

I cunicoli sotterranei

I cunicoli sotterranei

Usciamo dai locali semi-sotterranei della fattoria e saliamo ai piani superiori, nella casa dei Vaccà Berlighieri. Qui l’ambiente si fa decisamente più elegante. Gli arredi sono sobri ma raffinati e tutto è rigorosamente ottocentesco. Stupendo il raro fortepiano (1839) che troneggia al centro del salone e superbo il cannocchiale posato sopra, dono del Granduca di Toscana a Francesco Vaccà, suo medico prediletto. Quella dei Vaccà Berlinghieri è stata una dinastia di illustri medici e Andrea Vaccà Berlinghieri (1772-1826), figlio di Francesco, è stato senza dubbio il più importante fra loro.

Andrea Vaccà Berlinghieri

Andrea Vaccà Berlinghieri

Eccellente chirurgo e accademico di grande fama ha scritto numerosi trattati di medicina, custoditi nella splendida biblioteca adiacente al salone, e ha curato personaggi illustri tra cui Pio VII e Paolina Bonaparte. Vissuto per diversi anni a Parigi per ampliare la propria cultura scientifica si appassionò alla cultura illuminista e agli ideali rivoluzionari di libertà, uguaglianza e fratellanza ed entrò in contatto con le personalità più originali e anticonformiste dell’epoca, come Madame de Stael, Lord Byron, Percy Bysshe e Mary Shelley.

La biblioteca

La biblioteca

Il salone raccoglie anche gli strumenti chirurgici appartenuti ad Andrea, fatti costruire su disegno del medico da artigiani locali, ma anche da officine specializzate francesi e tedesche. Nella stanza accanto si trova la sala da pranzo apparecchiata per le grandi occasioni, con ricercate ceramiche, cristalli e posateria in argento, a testimoniare il livello sociale raggiunto dai Vaccà Berlinghieri nella prima metà del XIX secolo.La sala da pranzo Uscendo dalla sala da pranzo, rientrando nel salone noto appeso in alto uno stemma molto particolare. Credo che sia quello del casato dei Vaccà Berlinghieri, ma stranamente è sovrastato da un volto che fa una smorfia con la bocca. Riccardo mi spiega che si tratta del “Mascherone dello sberleffo” o, più comunemente a Montefoscoli, il “Boccaccione”.

Il Mascherone dello Sberleffo
Il Mascherone dello Sberleffo

Quella faccia sbeffeggiante è stata posta sopra allo stemma del casato dal prete Lazzaro Berlinghieri in modo che i gesuiti che abitavano nella parte alta del borgo si ricordassero, ogni volta che transitavano innanzi, delle conseguenze negative derivanti dai difficili rapporti che avevano voluto instaurare col casato Vaccà. E ancora oggi, da generazioni e generazioni, ad ogni bambino del paese, che vi passa davanti viene detto:«Su, dai, fai la bocaccia al Boccaccione!».

 

Per chi vuole visitare Montefoscoli in Vespa può farlo prenotando il tour Valdera Antica. Tutte le info su http://www.valderainvespa.it/tour_scheda.php?id=43